Fatta per guerrafondai, benestanti ed evasosi

Il documento programmatico di finanza pubblica 2025 (DPFP), approvato dal governo il 2 ottobre 2025, ha aggiornato il quadro macroeconomico e di finanza pubblica in vista della Legge di bilancio 2026. I dati Istat indicano un deficit che quest’anno dovrebbe attestarsi al 3%, in linea con gli obiettivi indicati dall’Unione Europea, con un avanzo primario pari allo 0,9%, questo significa che lo Stato incassa più di quanto spende. Le previsioni per il triennio 2026-2028 indicano un obiettivo di deficit al 2,1% e un avanzo primario nel 2028 pari al 2,2%. Già questi dati dimostrano che l’obiettivo principale del governo è tenere sotto controllo i conti, per rispondere alle indicazioni della UE e contenere al massimo la spesa pubblica. Il giudizio positivo dell’agenzia di rating Moody’s assegnato all’Italia a distanza di 23 anni dal precedente, indica che il governo sta facendo bene i compiti assegnatigli, a scapito della spesa sociale e del miglioramento dei servizi.

In questo quadro matura il disegno di legge di bilancio 2026, in discussione in Parlamento. Una legge finanziaria di 18,7 mld di euro che non incentiva lo sviluppo del paese, non favorisce la crescita, non investe nel lavoro, mancando completamente di prospettiva. Il documento di bilancio disperde le contenute risorse rese disponibili in provvedimenti parcellizzati per inseguire il consenso di alcuni settori, accrescendo le diseguaglianze tra chi è in maggiore sofferenza e chi ha una situazione economica più stabile.

RIDUZIONE IRPEF

Il provvedimento bandiera di questa legge finanziaria è senz’altro quello che riguarda la diminuzione dell’aliquota Irpef da 35 a 33% per chi ha un reddito tra i 28 mila e i 50 mila euro. Il governo lo ha presentato come la volontà di aiutare questa volta il ceto medio del paese avendo pensato ai redditi più bassi con la precedente legge di bilancio. Per la verità, se la finanziaria 2025 ha concesso qualcosina a chi ha redditi bassi, parallelamente ha cancellato precedenti misure di contrasto alla povertà, risultando nel complesso inefficace. 

In termini economici, il beneficio previsto nel 2026 sarà:

REDDITO ANNUO                RIDUZIONE IRPEF ANNUA                PERCENTUALE SU REDDITO

30.000 euro                             40 euro annui                                           0,13%

35.000 euro                           140 euro annui                                           0,40%

50.000 euro                           440 euro annui                                          0,88%

Il beneficio varrà anche per chi ha redditi annui superi ai 50 mila euro, fino a 200 mila euro. I 440 euro di risparmio Irpef per un reddito di 200 mila euro varranno lo 0,22% del reddito complessivo, in percentuale quasi il doppio dell’incidenza del risparmio su un reddito di 30 mila euro annui. Così non si può parlare di aiuto al “ceto medio”, perché si favorisce ancora una volta chi guadagna di più, mentre chi ha un reddito di 30 mila euro ha un risparmio di tasse inferiore al costo di un caffè a settimana.

SPESA SANITARIA

Il disegno di legge di bilancio prevede un incremento della spesa sanitaria di 2,4 mld per il 2026 e 2,65 mld per il 2027, risorse che in parte serviranno a finanziare assunzioni e adeguamenti stipendiali. Il governo nega che non s’investa nella Sanità. Tuttavia il tema non è quanti soldi si mettano a bilancio ma se la spesa per la Sanità sia adeguata alle esigenze, anche in rapporto a quanto investono gli altri paesi europei in salute. 

La Fondazione Gimbo ci dice che nel 2024 la spesa per la Sanità in Italia è stata pari al 6,3% del PIL (il prodotto interno lordo). Tale percentuale è inferiore alla media OCSE, che è del 7,1%, e alla media europea che si attesta al 6,9% Tra i paesi europei dell’area OCSE l’Italia è al 14° posto nella spesa sanitaria: la Germania spende il 10,6% del PIL e giù a scendere fino al Portogallo, che si attesta al 6,4%, comunque più dell’Italia.

Questi dati rendono evidente quanto gli investimenti nella sanità pubblica si stiano sempre più contraendo, peraltro a vantaggio della sanità privata, costringendo nel 2024 5,8 milioni di cittadini a rinunciare alle cure, il 9,9% della popolazione. La salute non è più riconosciuta come un diritto ma diventa un privilegio a vantaggio di chi può permettersi il pagamento di assicurazioni private, aumentando così le diseguaglianze nella popolazione.

PENSIONI  

Il leader della Lega Matteo Salvini ha fatto da sempre dell’abrogazione della Legge Fornero una bandiera, ebbene, il governo non solo non ha abrogato quella legge ma con la finanziaria 2026 torna ad aumentare l’età pensionabile:

SCADENZA         INCREMENTO         PENSIONE DI VECCHIAIA         PENSIONE D’ANZIANITÀ

2027                      + 1 mese                  67 anni e 1 mese                           42 anni e 11 mesi

2028                      + 2 mesi                   67 anni e 3 mesi                          43 anni e 1 mese  

Dall’incremento sono esonerate le categorie usuranti.

Dopo aver votato la finanziaria nel Consiglio dei Ministri la Lega ha presentato una serie di emendamenti per rendere inefficaci i provvedimenti decisi dal governo, tra questi si chiede di non applicare il previsto aumento dell’età pensionabile. Fuffa destinata agli elettori di quel partito! La Lega propone anche di confermare per il 2026 Quota 103 e Opzione donna. È utile specificare che attualmente per andare in pensione con Quota 103 occorre aver maturato al 31 dicembre 2025 almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Le finestre d’uscita sono di 7 mesi per il privato e 9 mesi per il pubblico. Inoltre, l’assegno pensionistico è calcolato interamente con il sistema contributivo e non può superare di 4 volte la pensione minima.  Questo fino al raggiungimento del requisito previsto dalla Legge Fornero. A quel punto l’assegno sarà ricalcolato secondo quella normativa. Per chi ha cominciato a lavorare da gennaio 1996 in poi la Lega propone di utilizzare il proprio TFR trasformandolo in una rendita utile a raggiungere l’importo minimo richiesto di € 1.603,23 corrispondente a 3 volte la pensione minima. Gli altri requisiti sono 64 anni di età e 25 anni minimo di versamenti contributivi. 

Siamo ben lontani dalla cancellazione della Legge Fornero e torna ancora una volta d’attualità il tema dell’utilizzo del proprio TFS/TFR per finanziarsi in parte la pensione, o aderendo ai Fondi di previdenza complementare o trasformandolo in rendita per raggiungere il requisito richiesto alla pensione anticipata. Il TFS/TFR dei lavoratori resta un bottino su cui il governo vuole mettere le mani. 

LA PENSIONE DALLA CULLA

Per farci comprendere meglio che la pensione in futuro ce la dobbiamo pagare da soli, rinunciando alla liquidazione o finanziandocela direttamente, FDI e AZIONE hanno presentato emendamenti alla finanziaria per introdurre la possibilità di istituire un fondo previdenza giovani che parta dai tre mesi di vita del bambino e permetta a genitori, nonni e zii di versare cifre annue che, al raggiungimento della maggiore età l’interessato possa riscattare o trasformare in una pensione integrativa. L’idea piace anche ad una buona parte dell’opposizione ed è già operativa in Trentino Alto Adige. I sostenitori della proposta parlano di favorire la cultura della previdenza, noi parleremmo più semplicemente di scippo della previdenza pubblica e di colpo mortale al sistema pensionistico pubblico, uno dei pilastri del Welfare.

SPESA PER LA DIFESA

Arriviamo al nocciolo della legge finanziaria, anche se spulciando il testo non troveremo mai scritto a chiare lettere quanto sarà l’incremento della spesa per la Difesa. Cerchiamo di arrivarci facendo due conti.

La spesa militare nel 2026 arriverà a 33,9 mld, sommando i costi delle basi militari e investimenti in ambito europeo si arriva a 35 mld.

Per l’acquisto di armi nel 2026 il governo avrà a disposizione 13,2 mld, una somma mai registrata in precedenza. Da quando Giorgia Meloni è al governo la spesa per armi è aumentata del 60%.

L’Italia si è impegnata a spendere nel 2035 il 3,5% del PIL per la Difesa, attualmente è all’1,46%, tradotto in cifre significa un incremento di spesa di 36 mld in dieci anni. 

Questi impegni, insieme ai vincoli di bilancio, non potranno non avere una ricaduta negativa sulle risorse destinate a finanziare i servizi, la Sanità, la Scuola, a sostegno di un Welfare pubblico che appare sempre di più l’ombra di se stesso.

CONCLUSIONI

Con la proposta di nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, parte integrante della finanziaria in discussione in Parlamento, si fa l’ennesimo regalo agli evasori, mentre l’emendamento che mira a riaprire il condono edilizio in Campania oltre ad essere una marchetta elettorale si presenta come l’ennesimo regalo all’abusivismo edilizio. Non si comprende come finirà la proposta di elevare l’aliquota fiscale per gli affitti brevi, quelli relativi ad esempio alle case vacanza.

In buona sostanza, siamo di fronte ad una finanziaria di guerra, come l’abbiamo definita, che segue le indicazioni belliciste che si stanno facendo strada in Europa attraverso il “ReArm Europe”, mentre si continua a strizzare l’occhio agli evasori e ai benestanti, schiacciando verso il basso il vero ceto medio e allargando le fasce di povertà, attraverso rinnovi contrattuali che non tengono conto del reale aumento del costo della vita e nemmeno dell’inflazione registrata, aumentando precarietà e lavoro nero.

Il 28 novembre USB chiama le lavoratrici e i lavoratori ad uno sciopero generale contro la Legge di bilancio 2026 del governo Meloni e per mandare a casa l’attuale esecutivo. Saranno organizzate manifestazioni territoriali e a Roma, in Piazza Montecitorio, sarà presentata dalla USB la Finanziaria del Popolo.

Il 29 novembre manifestazione nazionale a Roma con partenza alle ore 14 da Porta San Paolo, contro la Finanziaria di guerra e il governo Meloni, ancora una volta a fianco del Popolo Palestinese rivendicando la rottura di ogni rapporto con il governo Netanyahu responsabile di genocidio.

A.Ba.Co. (L’Associazione di Base dei Consumatori) sarà presente in piazza in entrambe le giornate per difendere gli interessi delle masse popolari e rivendicare un rilancio del Welfare pubblico: no alle armi, sì ai servizi per la popolazione.

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