Il Decreto Liste di Attesa all’esame della commissione per la conversione in legge: spunti di riflessione e d’inquietudine

di Sandro Sulpizio

Presso la 10a Commissione permanente del Senato è in corso di esame, dal 9 luglio scorso, la “Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2024, n. 73, recante misure urgenti per la riduzione dei tempi delle liste di attesa delle prestazioni sanitarie (1161)”.
Facciamo un passo indietro. Il D.L. in questione, entrato in vigore l’8 giugno, si richiama ad una pluralità di interventi normativi – da ultimi: il Piano nazionale di Governo delle liste di attesa 2019-2021, approvato dalla Conferenza permanente Stato, regioni e province autonome il 21/02/2019, e il Programma nazionale equità nella salute 2021-2027, previsto nell’Accordo di partenariato sulla Programmazione della politica di coesione e approvato con decisione di esecuzione della C.E. C 2022/8051 il 4/11/2022 – e, da prassi, proclama la “straordinaria necessità e urgenza di definire misure volte a garantire la tempestiva attuazione di un programma straordinario per la riduzione delle liste di attesa per le prestazioni sanitarie, al fine di superare le criticità connesse all’accessibilità e alla fruibilità delle prestazioni e garantire l’erogazione dei servizi entro tempi appropriati, rispetto alla patologia e alle necessità di cura”.
Tuttavia il decreto legge n.73/2024, c.d. “decreto liste d’attesa”, ha suscitato una forte e trasversale opposizione da parte delle regioni italiane, sia guidate da governatori di centrodestra che di centrosinistra, le quali sostengono che esso leda le loro competenze in materia di sanità. Con eccezione della Regione Lazio che ha difeso il decreto, nella Conferenza delle Regioni e Province Autonome tenutasi l’11 luglio 2024 è stato espresso parere negativo al provvedimento ritenendo “imprescindibile lo stralcio dell’articolo 2”.
L’articolo 2 in questione, prevede l’istituzione di un “Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria” presso il Ministero della Salute (comma 1), con il compito di vigilare e svolgere verifiche – presso le aziende sanitarie locali e ospedaliere e presso gli erogatori privati accreditati – sul rispetto dei criteri di efficienza e di appropriatezza nella erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sul corretto funzionamento del sistema di gestione delle liste di attesa e dei piani operativi per il recupero delle liste medesime (comma 2). Al fine di promuovere e assicurare la efficace tutela degli interessi dei cittadini, e su segnalazione di questi, l’Organismo può accedere presso le strutture sanitarie per verificare e analizzare le disfunzioni emergenti nelle agende di prenotazione anche avvalendosi del supporto del Comando Carabinieri per la tutela della salute (comma 3).
Una formulazione che le Regioni considerano viziata da “profili di illegittimità costituzionale” e che chiedono di modificare “nel rispetto delle rispettive competenze istituzionali”. Non a caso sono stati presentati numerosi emendamenti di soppressione o di sostituzione dell’articolo 2 che, come sostenuto, travalicherebbe le prerogative dei rispettivi livelli istituzionali.
Ma – d’altro canto – il diritto alla salute è un diritto fondamentale e inviolabile dell’individuo e costituisce interesse primario della collettività, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione italiana. Altresì la protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, “la specificità del settore sanitario rispetto ad altri settori della pubblica amministrazione – come detto dall’ANAC nell’aggiornamento 2015 al PNA – risente di alcuni fattori i cui effetti sono maggiormente percepiti dalla collettività, in ragione della peculiarità del bene salute da tutelare. Alcuni di questi fattori possono interferire nel rapporto tra la domanda sanitaria (come ad esempio, l’asimmetria informativa fra utenti e SSN, l’elevata parcellizzazione della domanda sanitaria, la fragilità della domanda di servizi di cura) e l’offerta (come, ad esempio, l’asimmetria informativa tra sistema sanitario e fornitori privati) e costituire potenziali elementi di condizionamento”.
Condizioni che, all’atto pratico, generano distorsioni e degradazioni dei diritti di cui sopra introducendo un sostanziale (e deprecabile) discrimine tra i cittadini. Per cui attività di controllo ministeriale finalizzate a correggere, almeno in parte, tali squilibri incostituzionali – ancorché esuberanti nei confronti delle competenze Regionali in materia – non sembrano fuori contesto né così estreme da stracciarsi le vesti.
In disparte le censure mosse dalle Regioni sull’irritante articolo 2 – il resto del decreto conserva le caratteristiche dei precedenti provvedimenti e prevede, logicamente, anche l’eventuale “superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario” (articolo 5) fino al 15% del fondo sanitario regionale dell’esercizio precedente, fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio Sanitario Regionale.
Tornando ai lavori per la “Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2024, n. 73”, all’esame della Commissione vi sono numerose revisioni e addizioni (oltre a quelli già menzionati di riforma/soppressione dell’art. 2) proposte da vari esponenti politici.
Tra questi spiccano, per singolarità, “l’ordine del giorno G/1161/4/10” presentato da “Liris” al fine di “valutare l’opportunità di creare un’applicazione, scaricabile sui dispostivi elettronici e promossa attraverso i mezzi di comunicazione di cui si avvale il Ministero della Salute, per la prenotazione digitale, collegata al Ministero stesso, utilizzabile dai cittadini e dalle associazioni di categoria degli utenti e dei pazienti, affinché possano, non solo prenotare visite e prestazioni diagnostiche e strumentali, ma anche segnalare eventuali superamenti dei limiti massimi stabiliti dal Ministero per le liste d’attesa e delle eventuali carenze dei livelli minimi di assistenza”.
E, fatte le dovute trasposizioni, “l’emendamento 7.0.2” presentato da “Cantù, Murelli, Minasi, Silvestro, Occhiuto” che propone di aggiungere l’“Art. 7-bis (Disposizioni sul trattamento economico dei Direttori Generali dell’unità sanitaria locale e delle aziende ospedaliere) … al fine di prevedere che il trattamento annuo del direttore generale dell’unità sanitaria locale o dell’azienda ospedaliera, nominato ai sensi degli articoli 3 e 3- bis , del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, sia non inferiore a 180.000,00 euro”.
Questa proposta esprime palesemente crucci elitari per i quali una domanda è d’obbligo: in un periodo storico caratterizzato da crescente evoluzione della spesa sanitaria e pesanti limiti all’indebitamento pubblico (vedasi il nuovo patto di stabilità), che richiederebbero un’attenta rivalutazione delle priorità e delle scelte politiche, con obbligati efficientamenti gestionali a tutti i livelli, in che modo l’innalzamento a 180.000 euro dello stipendio base annuo dei Direttori Generali porterebbe miglioramenti alle liste di attesa? Anzi, per come formulato, detto emendamento assicurerebbe solo un incremento della spesa sanitaria (molto spesso in deficit) senza alcuna correlazione con le finalità che informano il D.L. 73/2024.
Ad onor di cronaca, altri emendamenti – decisamente più coerenti – coniugano l’aggiornamento e la trasparenza dei tempi di attesa con la necessità “di fronteggiare la grave carenza di personale, superare il precariato e garantire la continuità delle prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza, nei limiti delle risorse previste in deroga ai vincoli di spesa in materia di personale previsti a legislazione vigente e fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del servizio sanitario regionale”.
Ad ogni buon conto l’altro ieri (15/07/2024) sono stati presentati nuovi emendamenti ed al contempo dichiarati “improponibili” una serie di questi, tra cui anche l’emendamento “7.0.2” di cui sopra.
I lavori della 10a Commissione termineranno – secondo il cronoprogramma – il 06 agosto 2024. Auspichiamoci che la conversione in legge del DL 73/2024 sia esentata da ulteriori ed inopportune sorprese.

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