Le Disfunzioni del Sistema Sanitario Nazionale Relativamente a Visite, Esami Diagnostici e Cure Mediche

La comunità internazionale definisce il diritto alla salute come un diritto umano appartenente a tutti gli individui. Il diritto alla salute è quindi un diritto fondamentale dell’uomo.

L’art. 35 – Protezione della salute – della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recita:” Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”.

Il diritto alla salute è uno dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.

L’art. 32 della Costituzione infatti “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

La salute è quindi un diritto fondamentale, tutti hanno diritto ad essere curati, anche se non tutti hanno il diritto a cure gratuite, destinate ali indigenti, cioè a coloro che non sono in grado di far fronte economicamente alle cure indispensabili per la propria salute.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 786/1973, ha riconosciuto che l’articolo 32 sancisce il diritto alla salute come un diritto soggettivo, ossia un “diritto assoluto e di rango primario per la persona umana”, mettendo così al centro degli interventi l’individuo.

La Costituzione italiana quindi riconosce il diritto alla salute come parte essenziale dei diritti dell’individuo e come interesse collettivo, imponendo degli obblighi in capo allo Stato affinché le cure mediche siano disponibili a tutti gli individui senza distinzioni sociali ed economiche.

Il nostro Paese si allinea quindi alla definizione fornita dall’OMS, che intende la salute non solo come mera assenza di malattie bensì come uno stato complessivo di benessere fisico e mentale, includendo anche il diritto a un ambiente salubre e il diritto alle prestazioni sanitarie.

L’art. 1 D.lgs 502/92 co. 1-2  garantisce “ la tutela della salute come diritto fondamentale dell’ individuo ed interesse della collettività, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso  il Servizio Sanitario Nazionale, quale  complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi Sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli  enti ed istituzioni di rilievo nazionale…..”.

Le criticità strutturali ed organizzative del SISTEMA SANITARIO NAZIONALE (SSN), poste prepotentemente in luce in epoca di pandemia da SARS-CoV-2, necessitano e impongono un ripensamento del modello istituzionale ed organizzativo del Sistema stesso, a cui potrebbero aggiungersi dinamiche nuove determinate dall’attuazione di ulteriori riforme istituzionali, tra cui l’esercizio di competenze regionali differenziate.

È quindi uno scenario che sfida lo status culturale, l’approccio metodologico ed etico con cui la comunità si pone di fronte ai temi della salute ed entro cui è necessario disegnare ed affermare una tutela al consumatore-cittadino innovativa e partecipativa, che sappia indirizzare e promuovere i più corretti aggiornamenti dei modelli istituzionali ed organizzativo – gestionali dell’intero sistema della salute: ciò ai fini di anticipare quanto più possibile le risposte ai fabbisogni emergenti e di neutralizzare sia le barriere logistiche, organizzative ed emotive all’accesso alla salute da parte del cittadino, sia i fattori di rischio connessi alla sicurezza ed alle complessità gestionali ed organizzative che accompagnano tutte le innovazioni.  Da ciò ne deriva l’impellente necessità di favorire e promuovere l’accesso alla salute omogenea e non discriminata su tutto il territorio, con garanzia di efficienza ed efficacia, misurata e validata. In tale contesto, non può non rilevare la portata di una interpretazione del “diritto a servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza” in combinato disposto con il diritto all’accesso da parte del consumatore-cittadinoad una informazione ed un orientamento esaustivo dei servizi offerti da parte della Pubblica Amministrazione.

In tale prospettiva, il cittadino-consumatore deve essere garantito nel fondamentale diritto di accesso ai servizi ed alle innovazioni – secondo i requisiti sanciti di sicurezza, efficienza ed efficacia; è un diritto che si estrinseca nella garanzia di accesso alle prestazioni LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ma che non esaurisce la sua portata sostanziale in queste, dovendosi ad esempio meglio affermare il diritto alla prossimità delle prestazioni sanitarie come declinazione del fondamentale principio di non discriminazione all’assistenza sanitaria e sociosanitaria, che insiste sul piano delle situazioni giuridiche sostanziali del consumatore, ed in particolare la tutela della salute, protette dalla Carta costituzionale e dall’articolo 2 del Codice del Consumo: “1. Sono riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni.2. Ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti:a) alla tutela della salute…..”;

È auspicabile quindi che sia adottato un Piano Nazionale per la difesa e la piena attuazione dei diritti del consumatore-cittadino.

Per quanto riguarda le spese destinate al sistema sanitario, l’Italia è all’ultimo posto in quanto a finanziamenti pubblici pro-capite, ma è anche al penultimo posto in quanto a richieste di contributo spese da parte del cittadino.

La scarsità delle risorse destinate all’assistenza sanitaria è una realtà cui i sistemi sanitari devono rispondere adottando politiche di contenimento della spesa e individuando priorità negli interventi. La mancanza di risorse destinate alla sanità pubblica può portare infatti a gravissime conseguenze, prima tra tutte la carenza dei servizi e l’inaccessibilità delle cure ai gruppi di pazienti economicamente o socialmente più svantaggiati.

La Sanità pubblica cade a pezzi e si avvia in silenzio verso la privatizzazione. In 10 anni sono stati tagliati 37 miliardi. Sprechi, inefficienze e privatizzazioni rendono infausta la prognosi del Servizio Sanitario Nazionale. Davanti al lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti.

Liste di attesa per visite ed esami

Il Sistema sanitario nazionale deve garantire una prestazione in 72 ore se urgente, entro 10 giorni se c’è il codice «breve», entro 30 giorni per una visita e 60 per un esame se è differibile, e ancora entro 120 se sono programmati (all.1-4)

Cosa dice la legge

È il medico che al momento della prescrizione indica il codice di priorità sulla ricetta. Lo prevede il Piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pngla) del febbraio 2019 con il quale, secondo le buone intenzioni dell’allora ministro alla Salute Giulia Grillo, avrebbero dovuto essere assicurati tempi certi per le prestazioni in modo da riportare il diritto alla salute, garantito dall’articolo 32 della Costituzione, al centro del Ssn. La prenotazione della visita medica o di un esame diagnostico deve avvenire con in mano la prescrizione medica, il codice fiscale e la tessera sanitaria tramite i Cup telefonici, allo sportello dell’ospedale oppure tramite i siti online regionali. A ciascuno vengono comunicate le date disponibili che troppo spesso sforano i tempi di legge come i cittadini sperimentano quotidianamente sulla propria pelle.

Il meccanismo di controllo

Per correggere le storture, ciclicamente vengono messi in campo correttivi come la possibilità su richiesta del paziente in caso di mancato rispetto dei tempi di attesa di utilizzare la libera professione dentro l’ospedale pubblico e pagare solo il ticket, l’allungamento serale degli orari degli ambulatori e perfino lo stop alla libera professione: tutte misure che di fatto ogni volta restano sulla carta. L’arrivo della pandemia non ha di certo contribuito alla soluzione dei problemi. La legge indica anche l’obbligo per le Regioni di pubblicare i dati sui tempi di attesa su siti dedicati. Uno strumento di controllo all’insegna della trasparenza, sia per i cittadini sia per gli esperti indipendenti che desiderano studiare il fenomeno in un’ottica di politiche sanitarie future. Devono essere resi noti i tempi di attesa per le prime visite specialistiche di 14 prestazioni e per 65 esami diagnostici. È una rendicontazione che richiede alle Regioni un importante lavoro di inserimento dati. Andiamo a vedere i risultati con l’aiuto di uno studio di Hi – Healthcare Insight, un osservatorio indipendente sull’accesso alle cure promosso da Fondazione The Bridge.

Il meccanismo di controllo non funziona per almeno cinque motivi.

  1. Prendiamo il sito della Toscana: il tempo di attesa nel 2020 per una risonanza magnetica all’addome è indicato in 69 giorni. Ma non viene detto se è una prestazione da garantire subito, entro 10 giorni, 30 o 60. Lo stesso avviene in Emilia-Romagna, nelle Province autonome di Bolzano e Trento e in Calabria. Questi siti delle Regioni, che inseriscono il tempo di attesa medio senza fare distinzione in base al codice di priorità (urgente, breve, differibile o programmato), di fatto pubblicano informazioni inutili. In Basilicata viene misurato il tempo solo per il codice di priorità «differibile».
  2. In Molise il calcolo dei tempi di attesa viene fatto solo su una settimana a discrezione, in Calabria e in Veneto su un giorno-indice (il riferimento è sempre al 2020).
  3. In Friuli-Venezia Giulia e Campania vengono pubblicati solo i dati di alcune aziende sanitarie, probabilmente le più efficienti. I risultati rischiano dunque di essere falsati.
  4. La lista delle prestazioni da monitorare per legge non viene rispettata. In 17 Regioni rilevano meno visite ed esami di quelli indicati dal Pngla (Basilicata, Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Pa Bolzano e Trento, Piemonte, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto).
  5. Non è possibile sapere se il tempo indicato è «in previsione» (ossia indico oggi quello che è il tempo di attesa previsto) oppure è «a posteriori» (ossia indico quello che in realtà c’è stato da attendere). Non lo specificano: Basilicata, Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Province autonome di Bolzano e Trento, Piemonte, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto.

Ricoveri

È lo stesso sistema anche per i ricoveri che devono essere garantiti entro 30 giorni per i casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente (A), entro 60 se c’è un dolore intenso o gravi disfunzioni (B), entro 180 giorni se il dolore è minimo (C), entro 12 mesi se non c’è alcun dolore e urgenza (D).

I risultati

Di fatto con i dati raccolti sembra che tutto vada bene e che non ci siano problemi sulle liste di attesa quando sappiamo bene che non è così, a maggior ragione nel 2020 che sconta l’effetto pandemia: nei mesi di marzo, aprile e maggio c’è una sospensione di quasi tutte le prestazioni non urgenti e un calo anche delle richieste per la paura di contagiarsi andando in ospedale, per poi avere come conseguenza un intasamento del sistema sanitario e un allungamento dei tempi per visite ed esami.

A Flourishmap

Per una risonanza magnetica alla testa l’attesa è in media di 12 mesi come indicato nel XXII rapporto di Cittadinanzattiva. Invece dai dati pubblicati dalle Regioni risultano in media 30 giorni per il 2019 e 27 per il 2020. Interventi chirurgici per il cancro al seno: gli epidemiologi del gruppo di «Monitoraggio per gli impatti indiretti del Covid-19» stimano che con la pandemia abbiano subito rallentamenti importanti, con un calo del numero delle operazioni contro i tumori alla mammella tra il 20 e il 40%. Recuperare il tempo perso dovrebbe portare a un prevedibile ingolfamento del sistema. Invece dai dati delle Regioni risulta addirittura un miglioramento nei giorni di attesa: 39 nel 2019 e 23 nel 2020. Visita oculistica: a metà 2020 per il Crems (Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale),i tempi di attesa sono raddoppiati, 144 giorni contro i 70 del 2019. Dalla analisi dei dati delle Regioni emerge, invece, che in media i tempi sono in linea tra il 2019 e il 2020 e decisamente più brevi di quelli previsti: 25 giorni per il 2019 e 28 per il 2020. La lista degli esempi potrebbe continuare.

Perché avviene

Tutto questo avviene perché si è fatta una norma sul monitoraggio che dice alle Regioni: dovete inserire i dati, ma potete scegliere il criterio che per voi funziona meglio. Ovviamente ogni Regione adotta il criterio che le conviene di più. Inoltre: là dove il Pngla prevede degli obblighi ben definiti, come il numero di prestazioni da monitorare, se sei inadempiente, non ci sono sanzioni. E così alla fine vengono prodotte montagne di carta per dimostrare che tutto va bene, mentre sono montagne di dati che non servono a nulla. E se mancano le informazioni complete e veritiere sulle performance del sistema sanitario, diventa impossibile capire dove bisogna intervenire.

CURE MEDICHE

La salute è un diritto fondamentale, la cui violazione impone il risarcimento del danno

Il Servizio sanitario, probabilmente ovunque in Italia e da molti anni ormai, presenta carenze sotto molteplici profili (di personale tra tutti). Ciò si pone ovviamente in maggiore evidenza quando si presentano (magari contestualmente) più situazioni di emergenza.

Ma può tutto quanto ricadere su chi necessiti, in un particolare momento della vita, di cure mediche anche urgenti? oppure, ed anche a prescindere da valutazioni in ordine a carenze, la struttura sanitaria può invece ritenersi responsabile anche ove ritardasse nell’intervento terapeutico? e se fosse vera la seconda ipotesi, quando? INSOMMA la struttura sanitaria deve rispondere per il ritardo della prestazione?

 

La Suprema Corte di cassazione civile, con l’ordinanza 13 aprile -15 giugno 2021, n. 16936 (testo in calce) è tornata appunto sulla questione relativa alla responsabilità della struttura sanitaria in caso di ritardo della prestazione.

 

Il principio della responsabilità della struttura è stato con forza affermato allorché un paziente è dovuto ricorrere ad una clinica privata e sborsare ingenti somme, per un intervento urgente differito dall’ospedale a cui si era inizialmente rivolto.

Precisamente, la vicenda processuale dalla quale si giunge al provvedimento che si vuole mettere in evidenza nasceva quando, il 3 Settembre 2004, un paziente in stato comatoso veniva ricoverato d’urgenza presso il locale ospedale per un sospetto ematoma subdurale e trasportato in sala operatoria, ma l’intervento chirurgico veniva ritardato a causa della sopravvenienza di un caso considerato più grave ed urgente. Conseguentemente i familiari, per evitare che la situazione si aggravie ritenendo privo di giustificazioni il differimento dell’azione da parte degli operatori sanitari, lo trasferivano in una clinica privata dove I. S. veniva operato con successo, ma l’intervento costava loro 18.496,00 Euro.

Il paziente decideva così di chiedere il rimborso della somma alla Regione che però riteneva la richiesta ingiustificata, obbligando il primo a ricorrere in Tribunale il quale, a sua volta, rigettava la domanda assumendo che non vi fosse stato alcun inadempimento.

La Corte d’appello riformava però la decisione del Giudice di prime cure ritenendo che la prestazione fosse urgente e che averla differita ha costituito invece un inadempimento che ha provocato un conseguente danno consistito nella necessità della spesa successiva effettuata presso la struttura privata.

La Corte di Cassazione haaffermato che il ritardo della prestazione è un inadempimento di cui la struttura sanitaria deve rispondere, a meno che la sua causa non sia imputabile al paziente.Quindi  In tema di responsabilità medica, vista la natura contrattuale del rapporto che intercorre tra la struttura sanitaria e il paziente, costituisce inadempimento della prestazione il ritardo con cui questa viene fornita e pertanto l’ospedale o la clinica in questione ne deve rispondere.

 

La Suprema Corte ha inoltre precisato che “ …viene comunque in considerazione il fondamentale diritto alla salute, non suscettibile di affievolimento per effetto della discrezionalità meramente tecnica riconosciuta alla PA, in ordine all’apprezzamento dei presupposti per l’ erogazione delle prestazioni” ( Cass. S.U. n. 2867/2009; Cass. S.U. n. 2923/12, ord. 2570/12).

La legge Gelli Bianco è intervenuta chiarendo in maniera espressa quanto già sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, qualificando la responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale ex art. 1218 c.c. e ss. (laddove, la medesima legge, qualifica quella dell’esercente la professione sanitaria come extracontrattuale ex artt. 2043 c.c. e ss.).

In particolare, l’art. 7 della legge Gelli Bianco chiarisce che:

(i) la struttura sanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c., delle loro condotte dolose o colpose;

(ii) l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

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